Dopo innumerevoli studi è finalmente spiegato il fenomeno che genera questa curiosa pigmentazione dell’atmosfera del pianeta
Lo scenografico fenomeno visibile sulla superficie gioviana non sarebbe altro che una estesa tempesta anticiclonica la cui profondità in realtà è di scarsa entità. A scoprire questo mistero ci ha pensato la potente sonda Juno. Questa è in orbita grazie ad un progetto della NASA pensato per studiare da vicino tutto quello che riguarda il pianeta.
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A spiegarci meglio il fenomeno interviene la voce accreditata di Daniele Durante, titolato del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università la Sapienza di Roma. Attraverso il suo resoconto è possibile capire in che consiste questo esteso evento atmosferico e come una serie di condizioni particolari genererebbe la fantastica scenografia.
La macchia rossa gioviana e cosa abbiamo imparato dalle osservazioni condotte dalla sonda Juno
La macchia non sarebbe altro che un intenso fenomeno atmosferico molto simile a quelli rilevati anche sulla Terra. Come dimensioni potrebbe essere paragonato ad una gigantesca e spropositata tempesta. La massa di quest’ultima equivarrebbe a circa la metà di tutta l’atmosfera terrestre, mentre il quantitativo di acqua presente si stima sia all’incirca della capienza del Mar Mediterraneo.
Tutto su Giove però risulta proporzionalmente più maestoso. Il così detto gigante gassoso, un aggettivo che gli è stato dato proprio in base alla sua composizione atmosferica caratterizzata da una componente massiccia di idrogeno ed elio, risulta imponente già a partite dalle dimensioni. Per il più grande pianeta del sistema solare si è stimato un raggio equatoriale pari a 71.492 km.
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La macchia rossa dunque non è mai sfuggita all’occhio attento degli scienziati, che già a partire da 1665, anno in cui fu registrata la sua presenza dall’astronomo italiano Giandomenico Cassini, aveva catturato l’attenzione degli studiosi.
Ora, dopo poco più di quattro secoli, il suo mistero è stato finalmente compreso, grazie all’opera instancabile della sonda spaziale che ci ha permesso di comprendere la sua natura e quali fossero le dinamiche alla base della sua fenomenologia. Questo risultato però non è ascrivibile solo al contributo della NASA e ma anche alla partecipazione nel progetto dell’Agenzia spaziale italiana (ASI).