Google ci consente di usare la modalità Incognito. Ma Incognito per chi? Per la privacy degli utenti o per Google che sotto sotto utilizza i nostri dati a proprio piacimento?
E’ una funzione di Google che ci permette di mantenere privata la nostra attività in rete, evitando che dati, informazioni, cronologie e compilazione di moduli siano visibili e alla portata di tutti.
A noi utenti non piace molto il fatto che sia tenuta traccia di tutto ciò che facciamo. Dalla geolocalizzazione, all’attività su un sito web, passando per le ricerche sui nostri interessi, fino ai dati sulla nostra identità che ci vediamo costretti a fornire per accedere a diversi servizi.
Ecco che il compito di Google è di recarsi giornalmente sulla riva del mare della rete e cancellare le nostre impronte lasciate lungo il tragitto, consentendoci di immergerci nel flusso di contenuti e navigare le acque senza paura di essere seguiti e spiati da nessuno.
Il colosso di Mountain View ha subito una class action da cinque miliardi di dollari, proprio per la mancanza di privacy della funzione incognito.
Sembra infatti che la raccolta dati di Google non rispetti la normativa sulla privacy vigente, e che l’azienda sfrutti potenti strumenti come Google Analytics, Google Ad Manager e altri plug-in per raccogliere informazioni grazie alle quali delineare il profilo dell’utente per offrire poi della pubblicità mirata.
Il tutto avverrebbe a insaputa dell’utente, poiché Google non avrebbe mai reso esplicita tale attività di raccolta dati.
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La class-action, o azione di classe, rappresenta un’azione legale attraverso la quale è possibile ottenere la tutela di diritti individuabili omogenei: i diritti vantati da ogni utente sono individuali, ma il procedimento giudiziale è collettivo.
Se la domanda proposta con azione di classe viene accolta, il tribunale pronuncia una sentenza di condanna con la quale liquida le somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo per liquidarle assegnando alle parti un termine di massimo 90 giorni per addivenire a un accordo di liquidazione
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“Ogni volta che si apre una finestra di navigazione in incognito viene specificato chiaramente che i siti web visitati potrebbero essere in grado di raccogliere delle informazioni sulle attività svolte al loro interno”. Questo quanto affermato José Castaneda, portavoce di Google.
Ma Google deve affrontare la causa portata in essere dalla class-action americana. Questa la decisione presa dal Giudice della California che ha sottolineato la consapevole mancanza di chiarezza dell’azienda, circa la raccolta dei dati che avviene anche mentre si naviga in modalità incognito.
Castaneda ha reagito alle accuse:
“Google si difenderà con forza. Precisiamo che “incognito” non significa “invisibile” e che questa modalità si limita a offrire la possibilità di navigare in Internet senza che la cronologia venga memorizzata sul browser o su altri dispositivi”.
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